17 ottobre 2008

Roberto Saviano: NON ANDARE VIA!

Roberto Saviano dice di voler andare via dall'Italia. non può più vivere la vita di un morto.

Roberto Saviano ha 28 anni e le uniche persone con cui dialoga serenamente sono gli uomini della sua scorta.
non va al cinema con una fidanzata, non va in pizzeria, non incontra gli amici per strada o in piazza. Roberto Saviano ha scritto un libro di denuncia, che è diventato un film bellissimo, di successo internazionale (ci rappresenterà agli oscar) e uno spettacolo teatrale. Gomorra è stato insieme la sua emancipazione e la sua condanna.
Roberto Saviano è minacciato apertamente di morte dalla camorra, è accusato dalla sua gente di aver rincorso il denaro e il successo, è bandito dalla vita sociale.
ma Saviano è invece un eroe, un uomo giovane che dovremmo tutti proteggere e a cui dovremmo offrire spazio, stima, amicizia. perché possa continuare a vedere con i propri occhi e raccontare il marcio, perché sia libero di scrivere e di informare.
mercoledì, il giornalista Giuseppe D'Avanzo ha raccontato l'amarezza di Saviano, la sua solitudine e la decisione di lasciare il paese. l'articolo lo potete leggere sul sito di Saviano cliccando qui.

nella città di Caserta gli studenti dell'Istituto Mattei di grafica pubblicitaria hanno realizzato un manifesto che è stato appeso in centro città:

il volto di Roberto Saviano ricostruito attraverso la composizione e l'accostamento di mille fotografie di cittadini casertani che hanno messo la propria faccia a disposizione degli studenti. è un manifesto bellissimo, è il senso di quello che dovremmo fare: sostenere Saviano con il nostro viso in primo piano, fargli sentire che non è solo, che siamo tutti lì.

pubblico qui di seguito un articolo di Nichi Vendola, pubblicato ieri su Liberazione:

Questo ragazzo del Sud, scuro di pelle e con gli occhi inquieti, con quello strano connubio di forza e debolezza che si intuisce già nella sua corporeità, con quel magnetismo che mescola calda vitalità e una malinconia ineffabile. Lo sento sempre così sincero, così impetuoso nei pensieri e nelle emozioni che traduce in scrittura cristallina, in minuziose inchieste sull'indecenza del vivere e del morire nei medioevi post-moderni delle mafie, in pagine aspre e di rara passione (che in questo caso è davvero sostantivo del verbo patire), in documenti di grande letteratura civile. Roberto Saviano è questo ragazzo di meno di trent'anni, meridionale e mediterraneo, che ha realizzato il sogno di ogni ragazzo per accorgersi subito dopo che quel sogno era diventato un incubo. Il sogno di poter fare un lavoro bello e importante, nel suo caso scrivere libri, e il suo allucinato e bellissimo "Gomorra" è diventato addirittura un best-seller planetario. Ma quel libro ha aperto la porta del terrore, ha portato luce dove da sempre aveva vinto il buio, ha narrato il "romanzo criminale" dei Casalesi e dei loro faccendieri, dei loro killer, dei loro impiegati, dei loro interlocutori economici, dei loro protettori istituzionali. Ha squadernato la "banalità del male" della camorra tra Napoli e Caserta, penetrando con forza documentaristica nelle viscere di quella burocrazia dell'onnipotenza criminale che stringe affari e stringe cappi al collo, che fa strage di appalti e fa strage di essere umani con la stessa disinvolta velocità. Il mondo si è improvvisamente accorto della camorra, di un crimine che è radicato negli interstizi più riposti e negli organi vitali della metropoli partenopea, che comanda traffici illeciti di droga e di rifiuti e di qualunque tipologia merceologica inclusi i defunti che sono lottizzati nella rete micidiale delle pompe funebri. Cosa Nostra era stata ciclicamente al centro dell'attenzione dei mass-media, oggetto di raffigurazione letteraria e cinematografica, questione dibattuta nell'arena nazionale ed internazionale. Invece sulla ndrangheta calabrese e sulla camorra campana ha dominato sempre una sorta di distrazione collettiva, o una forma speciale di omertà programmatica, con l'attitudine a ridurla alle cronache locali di violenze arcaiche. Poi questo ragazzo del Sud, raccogliendo il testimone di generazioni di militanti della legalità, ha trovato una cifra narrativa che ha sfondato il muro di gomma plurimo dell'indifferenza, del cinismo, del folclore giustificazionista. Ha acceso una torcia nella notte opprimente dei boss, di questi giganti del nulla, maschietti gonfi di cocaina e ubriachi di potere, in contesa permanente gli uni con gli altri, abitanti frenetici di un pianeta in cui la vita vale meno di uno starnuto, in cui il diritto è surrogato dallo storto, l'empietà scandisce la gestualità quotidiana di chi allunga e allarga traffici e dominio nel nome di una sotto-società educata al "mordi e fuggi" della ricchezza facile, della ricchezza predatoria, della ricchezza svuotata di qualsivoglia contenuto di bellezza, di giustizia, di umanità. Il successo ha comportato, per Roberto, una condanna a morte, una vita prigioniera di caserme e scorte, la fine immediata di una vita normale. Conosco cosa significa. Leggendo le parole di Saviano che pensa di lasciare l'Italia mi sono sentito oppresso. Chi non conosce la solitudine, quel tipo di solitudine, non può capire. Non è colpa dei clan, dei Casalesi, della camorra: loro devono minacciare e uccidere, così esercitano la loro peculiare egemonia culturale e militare. Sono quelli che pensano che sei un esibizionista, che hai sfruttato brutte storie per fare quattrini, che ti sei arrampicato su quell'albero lurido e avvelenato soltanto per svettare. Loro è una colpa grave, nostra è una responsabilità non occultabile. Sono quelli che, galleggiando nella melma del cattivo "buon senso" e dei più vieti luoghi comuni, ti regalano la peggiore delle condanne: appunto una estrema, indicibile solitudine, quella che mette in apnea un'età, un'esistenza nata per cantare la libertà, un corpo che voleva solo danzare la vita. Siamo tutti riscattati dal coraggio di questo ragazzo del Sud. Siamo tutti sconfitti dalla sua stessa inevitabile tristezza. Per questo, per me, per tutti noi, vorrei abbracciare Roberto e sussurargli, con pudore, di non andare via.

"siamo tutti riscattati dal coraggio di questo ragazzo del sud. siamo tutti sconfitti dalla sua stessa inevitabile tristezza". davvero viene voglia di dire a Roberto Saviano: NON ANDARE VIA. 


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3 commenti:

  1. condivido pienamente le idee che vengono fuori da questo articolo di vendola, soprattutto quello che dice sulla responsabilità, su chi è davvero colpevole della situazione di solitudine, isolamento, disperazione in cui si trova saviano. come singoli, forse l'unica cosa che possiamo fare per lui è fargli sentire che c'è chi capisce, chi lo sostiene, chi crede nell'importanza del suo gesto, del suo lavoro. possiamo scrivergli, penso che dovremmo.
    l'invito a restare... su questo non so se sono d'accordo. su questo devo riflettere. perché per noi è una frase, una frase piena di significato e speranza, ma per lui è un incubo.

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  2. Io la butto lì (nel senso che lo penso, ma lo penso io, non è obbligatorio essere d'accordo):
    e se invece lo lasciassimo andare e lo seguissimo?

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  3. lo ammetto, devo fare un passo indietro: condivido esattamente il vostro pensiero. perché la cosa più sana è proprio che lui possa decidere dove vivere, indipendentemente dalla nostra (mia sicuramente) paura di restare senza la sua voce sulle cose. ecco: io ho paura e allora ho condiviso le parole di Vendola, fino alla richiesta egoistica di non partire. ma è chiaro che Saviano deve andare dove vuole (e può) e noi lo seguiremo, questo sì.

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