pubblico una lettera ricevuta stamattina da n.r.
Ieri sera ho avuto una discussione con mio cognato a proposito delle impronte ai bimbi rom. Così tornando a casa ho ripensato al senso dell’essere persona e dell’essere popolo, etnia.
I latini dicevano homo homini lupus. Credo sia ancora valido. E si concretizza sia tra gli individui che tra i popoli. Il senso dell’essere persona penso coincida con l’individualità, il percepire, accettare la propria identità (cercando di migliorare sempre) e il parallelo/reciproco riconoscimento degli altri, quelli che contano affettivamente e/o intellettualmente; ma anche il riconoscimento sociale di cui abbiamo bisogno (ruolo, posizione).
Parlo di persone che sono libere e pensano, che reggono il peso e il dolore dell’incertezza, dell’imperfezione, dell’impotenza, della complessità del vivere, non quelli che si appoggiano (o si fondono/confondono) a un’ideologia o a una religione dove possono trovare il senso di tutto. I più sono questi però e costituiscono le masse e determinano il potere nelle società democratiche.I meno, quelli che pensano da sè, dovrebbero indicare progetti e pensieri, linee di ricerca e bellezza, se riescono a non essere solo assorbiti dal bisogno di mantenersi. Qui entra in scena l’atteggiamento predatorio, il lupus. Individui e popoli si attivano per garantirsi sopravvivenza o predominio.
A questo proposito non ho dubbi sulla prevalenza dell’essere sull’avere, ne ho invece sull’essere in relazione al fare, perché penso che non esiste essere se non attraverso il fare (inoltre l’essere è anche in funzione di ciò che ha).Mi tornano in mente i pensieri dell'Inviato di guerra sul lavoro, in cui ritrovo l’ideale dei Greci: il loro valore primario era la libertà e in particolare la libertà dal lavoro. Ma se la permettevano perché erano una società schiavista, facevano lavorare i popoli sottomessi in guerra e sfruttavano gli altri attraverso il predominio culturale e commerciale (quando non li colonizzavano direttamente). Tanto erano tutti barbari.
Il mondo occidentale democratico è rimasto lo stesso: guerre sfruttamento schiavitù neocolonialismo. E poiché gli altri modelli politico-sociali proposti finora hanno avuto esiti anche peggiori (fascismi comunismi) e sono attualmente improponibili, penso che finchè non verrà elaborato un nuovo modello di convivenza bisogna cercare correzioni e aggiustamenti all’esistente. E che nel fare dei singoli e dei gruppi vada cercata una convivenza che tenga sotto controllo l’atteggiamento predatorio. Ed è un’impresa che oggi pare impossibile.
I latini dicevano homo homini lupus. Credo sia ancora valido. E si concretizza sia tra gli individui che tra i popoli. Il senso dell’essere persona penso coincida con l’individualità, il percepire, accettare la propria identità (cercando di migliorare sempre) e il parallelo/reciproco riconoscimento degli altri, quelli che contano affettivamente e/o intellettualmente; ma anche il riconoscimento sociale di cui abbiamo bisogno (ruolo, posizione).
Parlo di persone che sono libere e pensano, che reggono il peso e il dolore dell’incertezza, dell’imperfezione, dell’impotenza, della complessità del vivere, non quelli che si appoggiano (o si fondono/confondono) a un’ideologia o a una religione dove possono trovare il senso di tutto. I più sono questi però e costituiscono le masse e determinano il potere nelle società democratiche.I meno, quelli che pensano da sè, dovrebbero indicare progetti e pensieri, linee di ricerca e bellezza, se riescono a non essere solo assorbiti dal bisogno di mantenersi. Qui entra in scena l’atteggiamento predatorio, il lupus. Individui e popoli si attivano per garantirsi sopravvivenza o predominio.
A questo proposito non ho dubbi sulla prevalenza dell’essere sull’avere, ne ho invece sull’essere in relazione al fare, perché penso che non esiste essere se non attraverso il fare (inoltre l’essere è anche in funzione di ciò che ha).Mi tornano in mente i pensieri dell'Inviato di guerra sul lavoro, in cui ritrovo l’ideale dei Greci: il loro valore primario era la libertà e in particolare la libertà dal lavoro. Ma se la permettevano perché erano una società schiavista, facevano lavorare i popoli sottomessi in guerra e sfruttavano gli altri attraverso il predominio culturale e commerciale (quando non li colonizzavano direttamente). Tanto erano tutti barbari.
Il mondo occidentale democratico è rimasto lo stesso: guerre sfruttamento schiavitù neocolonialismo. E poiché gli altri modelli politico-sociali proposti finora hanno avuto esiti anche peggiori (fascismi comunismi) e sono attualmente improponibili, penso che finchè non verrà elaborato un nuovo modello di convivenza bisogna cercare correzioni e aggiustamenti all’esistente. E che nel fare dei singoli e dei gruppi vada cercata una convivenza che tenga sotto controllo l’atteggiamento predatorio. Ed è un’impresa che oggi pare impossibile.
Ma chi pensa ha bisogno di imprese impossibili.
eli
Questa lettera trova quasi il mio pieno consenso. Ci terrei a puntualizzare solo due questioni.
RispondiEliminaLa prima. Sono favorevole a prendere le impronte ai bambini rom, ma prima si devono prendere le impronte ai bambini italiani reclutati dalla miafia, dalla camorra, dalla n'drangheta, dalla sacra corona unita, i bambini che non vengono mandati a scuola, i bambini seviziati, i bambini picchiati dai genitori, i bambini non riconosciuti dai genitori.
Altrimenti qualsiesi discorso risulta razzista e discriminante di fondo.
La seconda. Rispetto all'idea di libertà dal lavoro. Nelle società schiavistiche antiche, ma non solo, esistevano forme diverse di schiavitù. Nella maggior parte dei casi gli schiavi venivano comprati per poi essere utilizzati nelle attività produttive. Colui che comprava lo schiavo aveva tutto l'interesse nel mantenerlo in buona salute, nutrirlo e metterlo nelle conzioni migliori di lavoro. La schiavitù era palese, ma le condizioni generali degli aschivi erano meno vessatorie di quanto siamo abituati a pensare. Solo per fare un esempio, nel mondo egizio coloro che lavorarono alla costruzione delle piramidi non erano schiavi ma lavoratori pagati. La condizione del lavoratore di oggi non è molto distante, anzi a mio avviso è peggiorata. Prima di tutto rispetto al passato c'è un'inversione di prospettiva: il lavoratore è libero, ma è trattato male.
Per come la vedo io, la libertà è apparente e in più l'atteggiamento vessatorio oggi è assolutamente ammesso e tollerato dagli stessi lavoratori.
L'essere si lega al fare. Questo è giusto in generale. Ma nella società contemporanea, in cui l'essere è piegato alla logica del fare, se non fai non sei, il lavoro non è un modo per realizzarsi, è solo un tormento per mantenersi. Lavorare in queste condizioni depotenzia, anzi distrugge ogni barlume d'essere e crea degli individui completamente dipendenti dalle necessità del fare e dell'apparire. Ben venga un lavoro che restituisca dignità all'uomo. Ma non è detto che rientri nelle nostre priorità di scalatori sociali, incapaci di relazionarsi con il prossimo e infelici per costituzione.
Nonostante l'apparente pessimismo è illuminante la frase conclusiva della lettera che apre a un orizzonte di libertà assoluta:
chi pensa ha bisogno di imprese impossibili.
E siamo solo a lunedì.